L’inautenticità lasciata allo specchio
Da sempre l’umano è dimentico di sé. E’ un costante esercizio di messa a fuoco a dispiegarlo intellettualmente nello spazio-tempo, dov’egli poi si risolve nell’assiomatica progettualità dei suoi negotii.
Eppure, qualcosa sfugge: un difetto di percezione spinge i significanti all’esterno senza trasferire – non senza una perdita di consapevolezza – il contenuto. Complice forse l’anatomia di questa nostra forma, il corpo, il cui verso protende al di fuori senza mostrare il dentro, si ha quasi pudore a soffermarsi in quei fermenti che ribollono sotto pelle. Le sensazioni, allo stesso modo, sono restituite all’oggetto già mediate, mentre la coscienza si affida ad un’immagine, anche questa mediata, scavalcando la voce del corpo.
Il riconoscimento, dunque, è il leitmotiv dell’artista, che incuriosito dal rovesciamento della materia nelle impronte in negativo dei suoi calchi, indaga i rapporti tra ciò che è mostrato e la sua essenza, il contenitore e ciò che è contenuto.
“Iste ego sum” è l’eterna dicotomia dell’uomo che prende coscienza di sé attraverso la relazione con l’esterno, l’osservazione dei suoi simili o della propria immagine riflessa. E così che, specchiandosi, si riconosce (o disconosce) nei valori di riferimento. Ma soprattutto nel proprio esistere, definendosi come identità.
Tuttavia, l’artista denuncia come in questo processo una certa parte dell’esserci, l’umore, è tragicamente trascurata e banalmente celata dietro l’involucro del corpo, senza il quale non può trovare espressione. L’individuo, infatti, ospita in sé una distanza incommensurabile fra l’emozione e la sua traduzione in pensiero, finendo così per sacrificare le capacità di percepire e d’empatia in cambio di una più formale sovrastruttura di comportamenti e reazioni socialmente collaudati.
Avviene così che Marco Chiurato, artista italiano noto per la sua straordinaria padronanza nello scolpire lo zucchero, s’avvale della materia – ma ancor più dell’efficacia propria dell’azione artistica – per rivoltare dalla parte opposta al dritto lo schema emozione – reazione, controllato dal sistema associativo dell’intelletto. Cosicché, ciò che appare provocazione, è piuttosto un’esegesi della realtà in chiave umoristica, con il preciso scopo di riportare l’individuo sulle tracce del suo sentire profondo, delle sue emozioni recondite, citando il contesto solo come espediente, come una valvola per la fuoriuscita del movimento psichico.
Nella sua produzione artistica, pur mossasi per voli pindarici, persiste il tratto unificante di presentare il banale – inteso come il conosciuto, ciò che è sempre sotto i nostri occhi – per ingannare l’intelletto e quindi schivarne lo sforzo di elucubrazione, costringendo all’avamposto la genuinità del sentimento, anche quando naïf . La conformità viene allora superata dalla monelleria del fanciullino, il quale sospende il giudizio e partecipa emotivamente a ciò che vede, senza distinguere con nettezza la realtà dal suo mondo interiore.
A Marco Chiurato, classe ’73, fu imposto il mestiere di maître pâtissier per tradizione di famiglia. E tuttavia, accompagnandosi con studi artistici e attraverso la manipolazione di materiale dolciario, approda alla sugar art, padroneggiandola al punto tale da riprodurre fedelmente oggetti reali. E’ da qui che origina la sua produzione d’arte performativa: avvalendosi proprio dello zucchero, confonde il reale con la mimesi e nel contempo esplora gli impulsi della psiche, la quale interagisce con l’opera superando quel sistema di valori che attribuisce senso di approvazione/disapprovazione agli oggetti della realtà fenomenica.
Il risultato è la distruzione sconsiderata e istintiva della copia in zucchero, nell’illogico proposito di sgretolare sia la relazione di partecipazione che la cosa ha con l’idea, sia il procedimento intellettivo che le rapporta fra loro. Lo zucchero, infatti, a simbolo della vita inautentica, non cosciente, passa del tutto inosservato nella sua apparente innocenza.
L’effetto della sua devastazione, a sonori colpi di martello, è perciò di stupefacente impatto: reboante monito e risveglio, per non identificarsi con le cose del quotidiano e col sonno vigile che coglie nella cura di queste.
L’artista si avvale anche di altri materiali, sempre ad uso comune, dalla ceramica al pan di Spagna, per installazioni che da un punto di vista figurativo rappresentano concetti abitualmente integrati nell’ethos collettivo. Volutamente, perciò, egli espone il già visto, ciò che è dato per scontato e perciò privo di carica emotiva (o peggio, ciò che è tenuto nascosto), con il preciso intento artistico di scardinare la ragione che giustifica e provocare una reazione: non una qualsiasi, ma quella capace di condurre in moto diretto all’emozione imbrigliata.
L’insinuarsi in spazi proibiti e argomenti velati da un pudico silenzio sociale (come la sessualità, la violenza sulle donne, il suicidio o i deliri devianti la Fede) è il mezzo che giustifica il fine dell’artista: offrire il suo cuore aperto, invitando il pubblico a trasalire, con lui o contro di lui. “Iste ego sum: sensi, nec me mea fallit imago”: l’agnizione è dunque il vero proposito dell’artista, cioè il riconoscere quel sentimento vivissimo che abita l’uomo e che si specchia meglio nell’arte.
Per giunta, un altro strumento nelle mani di Marco Chiurato – come lo sarebbe il pennello impugnato dal pittore – è la performance o per meglio dire l’azione perturbante: egli, di fatto, provoca l’agitazione tramite gesta, atti, iniziative potenzialmente verosimili ma dal contenuto del tutto assurdo. Il pubblico crede sia vero, abboccando anche al riverbero mediatico, per poi rimanere sgomento e stizzito allo svelarsi della semplicità del raggiro, del sottile confino tra il serio e il ridicolo, dell’inettitudine di fronte al capovolgimento dell’aspettativa.
Per concludere, la chiave di lettura di Marco Chiurato è decisamente l’umorismo, nel senso etimologico del termine: il cogliere, il far riaffiorare l’umore, i liquidi che ci mareggiano dentro e sbattono e ribattono contro le pareti del corpo organizzato dalla mente. L’avvertenza di quello che scorre sotto la superficie delle cose o dell’ego – e che l’arte riesce a raccogliere come un fontanile! – è il risultato della provocazione umoristica, del riso amaro che suscita, della verità raccontata nell’assurdo.
Così Marco Chiurato è consapevolmente un anti-eroe. E’ un Giasone la cui ricerca del Vello d’Oro è solo l’aspetto superficiale, mentre il senso profondo dell’impresa è trovare il sentimento dell’esser-ci, la consapevolezza dell’anima che partecipa costantemente alle cose del mondo senza che sia vista o ascoltata.
L’uomo si guarda allo specchio (o più attualmente si fa un selfie): la sua immagine esiste come ex-sistentia, esternamente a sé, e resta lì, intrappolata come la consapevolezza nella consuetudine di ogni giorno. La performing art di Marco Chiurato scuote la sagoma imbambolata e la rigira come fosse una fodera, imponendole uno sguardo faceto ed emozionale sul più vasto mondo interiore.
di Sofia Cavalli
A
LEPENEDARTISTA s.r.e.
FANT ASMA
Diego Armando Maratona
Omaggio a Maradona e “Maratona” nel suo nome, a Marostica, lunedì… nella piazza degli scacchi dove, per 42 chilometri, l’atleta Luigi Vivian correrà in tondo come il Dio del calcio palleggiava.
Al termine il maratoneta verrà premiato con un premiocapitello realizzato da Marco Chiurato
se il traguardo raggiungerà NAPOLI lo stesso premio sarà donato al vincitore che potrà ritirarsi in preghiera verso il suo IDOLO.
A potersi accaparrare il premio sarà solo un Napoletano visto che a Napoli solo loro potranno partecipare.
Omaggiò a Maradòn e “Maratonà” into suo nomè, a Marosticà, Mercolèdì 16 Dicèmbr e’ ore 4.59 int’a’ piazzà degli scàcch dovè, ppe 42 chilometrì, l”atlèt Giggino Viviàn corrèrà in tondò comm o’ Dio ro’ calciò palleggiavà.
o’ termìn o’ maratonèt vèrrà premiàt cu nu’ premiocapitèll realizzàt ra LEPENEDARTISTA.
s o’ traguàrd raggiungèrà napule o’ stessò premiò sarà donatò o’ vincitòr ca’ pòtrà ritiràrs in preghièr versò o’ suo IDOLO.
A potèrs accaparràr o’ premiò sarà sul nu’ napulitan vistò ca’ a napule sul lorò potrànn parteciparè.


Movimento Non Spaziale
“5925 cm. cubi #2 – Mascherina” – Contenitore in plexiglass – 2020
REVISIONE DI PROGETTO
ARTE – Marco Chiurato – “OLIMPIA IN SCENA”
Il nuovo progetto artistico, nel tempo del Covid-19, uno spazio chiuso
Quello di Marco Chiurato è un progetto artistico che nasce ispirandosi alla evoluzione del virus pandemico Covid-19, con le sue/nostre visioni, chiusure e aperture. Sul tema, sono state fatte mostre, discussioni, trasmissioni televisive e molto altro; ma un artista che su questo virus abbia immaginato un progetto aggregante, con la proposta di creare un gruppo di artisti che operino dentro un sistema di “regole”, quasi un manifesto come usavano fare le Avanguardie del ‘900, è cosa nuova. Chiurato, non si limita ad analizzare le emozioni, paure e ripercussioni sociali ed economiche che questa pandemia virale ha innestato nella società umana. Lui vuole soprattutto rendere artistiche le evoluzioni della percezione spazio/tempo che la malattia ha generato in noi. Intende scoprire, svelare i modi in cui si è modificato il nostro interagire all’interno dei nostri ’possibili’ movimenti dentro spazi e tempi di vita necessariamente modificati. Riporto qui di seguito la ‘Bozza- manifesto’ del suo progetto: “Nel corso dell’anno 2020 a causa del pandemico Covid-19, ho elaborato, in modo più profondo, quanto lo ‘spazio’ sia determinante per la nostra esistenza quotidiana. Non che in precedenza non abbia percepito i limiti spaziali riferiti al movimento in genere, solo che il lungo periodo di ‘chiusura’ atta a prevenire la potenzialità del contagio, ne ha sottolineato l’importanza. In questo contesto ho elaborato alcuni punti di un possibile percorso artistico che potrà coinvolgere anche altri artisti”.
1 – Possono aderire al progetto, artisti che abbiano come obiettivo principale, nelle loro opere, riferimenti alla infezione pandemica del Covid-19 e che sottolineino le diversità di spazio, emotive e non solo, da questa imposte.
2 – Per raggiungere questo obiettivo, scriverò ora al plurale immaginando la partecipazione di altri artisti, useremo e si porranno in evidenza gli oggetti d’uso, ma non solo, che troveremo dentro le nostre case, principali luoghi della nostra ‘clausura’, decontestualizzandoli, all’interno di uno spazio ancora più limitato e angusto, per
approfondire e comunicare la percezione di questo spazio ‘diverso’ da quello da noi abitualmente frequentato.
3 – La evoluzione del progetto sarà in sintonia con l’evoluzione del virus Covid-19.
4 – Le opere, come già scritto sopra, verranno ‘rinchiuse’ in spazi più piccoli dai consueti, e non accessibili al fruitore dell’opera. Per esempio inseriti in teche in plexiglass saldate ermeticamente, o in contenitori composti da altro materiale, che potranno anche nascondere’ l’opera, ma che siano ugualmente non ‘apribili’.
5 – Con queste opere e gli scritti che verranno elaborati in merito, si intende sottolineare quanto questa pandemia virale sia stata, è e sarà foriera di un nuovo livello di coscienza , o comunque di una diversa percezione dell’esistere e dell’interagire con le altre persone, gli animali, la materia vivente in genere, all’interno di uno spazio finito e infinito.
6 – Si potrebbe anche definire questo progetto, un progetto Non-Spaziale, in giocoso contrasto con lo Spazialismo di Lucio Fontana, in quanto invece di ‘aprire’, con un taglio sulla tela uno spazio verso altri spazi, chiude e restringe lo spazio da noi percepito dell’oggetto-opera”. Marco Chiurato – Marostica – Dicembre 2020.
L’analisi artistica di Chiurato, si sviluppa, quindi, su due temi specifici in periodo di Covid-19 lo spazio/tempo e la quotidianità, spesso forzata, vissuta all’interno della propria abitazione, la casa. Il rapporto che lui crea con gli oggetti della quotidianità, che vengono segregati e ‘allontanati’ dentro teche (ma si potranno usare anche altri contenitori che ‘separino’ da noi gli oggetti scelti) ci conduce verso una analisi del significato delle nostre ‘abitudini’ relative alla precedente quotidianità che ritenevamo sicura, acquisita, scontata. E invece il Covid-19 ha rimescolato le carte! La casa/contenitore può diventare fastidiosamente stretta, una prigione, claustrofobica e con essa gli oggetti che la abitano, che possono assumere aspetti e usi inaspettati, funzionali a gesti noiosi e infastidenti. In alcuni casi, non pochi, alcuni oggetti sono diventati oggetti di violenza ‘fra le mura’ domestiche, soprattutto verso le donne. Moltissime altre sono le considerazioni che si potrebbero fare in merito alla ‘chiusura’ analizzata da Marco Chiurato. L’artista si limita, in questa partenza progettuale, a decontestualizzare gli oggetti in questione, non come fecero i ‘poveristi’, elevandoli ad opera d’arte esaltandone lo spazio intorno, ma chiudendoli ermeticamente dentro uno spazio angusto, potentemente significante, compiendo così un ‘gesto’, un atto (quasi) scaramantico, di relativizzazione dello spazio stesso, come se riducendo lo spazio occupato dall’oggetto si ampliasse lo spazio vissuto dall’artista stesso. E vuole essere, il suo, un tentativo di analizzare gli effetti di una chiusura che gli è stata imposta, attraverso la visione di quegli oggetti che avevano rappresentato, finora, alcune applicazioni in ‘libertà’. Nello stesso tempo, e qui è veramente possibile l’atto scaramantico, ‘chiude’ in una teca in plexiglass, anche una ‘mascherina anti contagio’, che prima non era di uso comune, e allontanandola da sé, la osserva come un oggetto alieno; così come alieni potrebbero diventare tutti gli oggetti costretti in uno spazio inaccessibile. I riferimenti, poi, a molti altri ‘luoghi’ di reclusione, carceri, ospedali (immaginiamo la sofferenza dei pazienti con la testa ‘ingabbiata’ in un casco per l’ossigeno), e altri ancora, verranno sicuramente affrontati nel tempo. L’opera per l’artista, è principalmente la teca, il contenitore, la parte più concettuale, il titolo infatti è ricavato dal suo volume, che rinchiude lo spazio all’interno del quale mette l’oggetto (o possibili vari oggetti), che diviene l’elemento più emozionale. L’oggetto che rimane osservabile se il contenitore è trasparente, o diventa ‘invisibile’ se il contenitore non è trasparente, per esempio se fosse fatto in legno. In tutti e due i casi, si può anche percepire una qualsiasi altra immagine che, come mi dice Chiurato, è una immagine oggettuale “proiettata in un non-spazio”. L’opera potrà essere spostata da un luogo all’altro, senza che il suo spazio interno subisca alterazioni se non quelle dovute a temperature esterne che modifichino lo stato fisico del gas all’interno del contenitore (normalmente aria, ma a voce Chiurato mi dice che potrebbe anche inserire diversi tipi di gas) o del materiale costituente il contenitore stesso. Anche lo sfondo che circonda l’opera potrà variare, modificandone l’effetto percettivo. Questa per Marco Chiurato è una ‘partenza’, un viaggio della mente che necessariamente lo porterà a evoluzioni del progetto per ora solo ipotizzabili.
Gianni Maria Tessari (OLIMPIA IN SCENA)
“9420 cm cubi #1 – Gatto” – Contenitore in plexiglass – 2020
“236 cm. cubi #1 – Cibo per gatto” – Contenitore in plexiglass – 2020
“942 cm. cubi #1 – Bistecca”– Contenitore in plexiglass – 2020
“117.750 cm. cubi #1 – Rubinetto” – Contenitore in plexiglass -2020
“117.750 cm. cubi #2 – Bambino” – Contenitore in plexiglass – 2020
“942 cm. cubi #1 – maniglia”– Contenitore in plexiglass – 2020
“6594 cm. cubi #1 – Denaro” – Contenitore in plexiglass – 2020
“9420 cm. cubi #2 – Coltello” – Contenitore in plexiglass – 2020