ROTAIA 1:6.000.000

L’opera figura l’agghiacciante sproporzione
tra la riconoscibilità del singolo e l’indistinguibilità nella moltitudine:
un sol uomo, sovr’evenemenziale, fronteggia la grandezza impalpabile,
l’immensità impenetrabile delle vittime di un frainteso esistenziale;
un delirio lucido causato dalla terrificante imposizione di una sola visuale possibile,
consapevolmente distorta.
Così, l’opera mostra ammassate e anonime le strisce – simbolo dei deportati –
come quei cadaveri, che nessun zoom out potrà riunire in una sola immagine.
Un’altra illusione ottica della storia, questa,
durante la quale sono state operate forzature
alla più ampia percezione degli accadimenti,
causando quello che conosciamo ora come impensabile, aberrante e inammissibile.

Ai posteri l’ardua responsabilità di restituire alle cose il reale ordine di grandezza,
recuperando un senso umano della prospettiva,
per cui vitale e mortale non siano stravolti a regola d’arte
per confondere e ingannare il quadro più ampio che,
peraltro, tutti abitiamo.

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ROTAIA 1:6.000.000

Se la distanza ha la meglio sul cuore, l’occhio si perde nel dettaglio.
Fra i diversi punti di osservazione – ovvero le angolature del pensiero –
si dispiegano spazio e tempo:
non solo coordinate dello scibile, ma principali regolatori della percezione.
Spostandoci lungo la prospettiva ci si presentano diversi rapporti
fra medesime entità,
con una conseguente modificazione dei contenuti e della comprensione di questi.
Neppure gli eventi, nella pur conclamata storicità,
resistono alle lenti, ai ritagli,
alle inquadrature che la narrazione inevitabilmente gl’impone;
smettendo dunque forme oggettivabili e assumendo invece valori corrispondenti
alla capacità di veduta dell’osservatore.
Ed è così che, probabilmente, l’Uomo perpetua la sua ambiguità,
con la spavalderia tipica di chi sa di poter poi seminare il vero
fra le labirintiche rèdole che tagliano le più vaste lande della Storia.
D’altra parte, è proprio nella diversa misura delle cose umane,
nel porci vicino o lontano da queste,
che si ha l’opportunità di cogliere la complessità.
Una complessità alla quale è necessario arrendersi,
ammettendo che non c’è un punto abbastanza alto in questa Terra,
per guardare da lassù, il quadro generale – il senso ultimo delle cose.
Per quanti passi indietro si muovano dal punto di fuga,
uno sguardo divino non ci è concesso e restiamo sempre umani in questa realtà
che esiste intorno a noi,
ma dai contorni indecisi e ingannevoli alla vista – quella nostra, almeno,
che è miope e presbite in modo congenito e irrimediabile.

commento di Sofia Cavalli

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