Diritto di essere, dovere di esistere: sei come sei, resta bambino. IO SO’ IO, performance di Marco Chiurato.
“Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano)”
(Il Piccolo Principe, Antoine de Saint-Exupéry)

START, partenza, inizio…pronti al via! START, è il nome della sede, un luogo nel cuore di Bassano del Grappa, in via Zaccaria Bricito 32, dove si fa arte in modo indipendente, quattro sale al piano terra di un palazzo del 1200 che si riempiono di creatività.
È la summa dell’incontro di idee, confronti e soprattutto espressione creativa di arte e cultura, la sede del palazzo storico in cui i muri respirano la storia dei secoli porta la freschezza di chi ha voluto mettere in mostra le proprie emozionalità con l’inaugurazione di sabato 20 febbraio 2016.
Chi ha recitato poesie, chi ha cantato, chi ha dipinto, chi si è dato in pasto al pubblico con performance di colore e musica, chi ha fatto sentire la propria energia.
Nell’ultima stanza, in fondo al percorso nel cuore del palazzo, un artista in particolare ha messo in scena il suo messaggio rivolto al pubblico: è Marco Chiurato che, con la sua performance IO SO’ IO, ha letteralmente dato in pasto ai presenti la sua personale forma di provocazione, riflessione e simbologia di visione sul tema della violenza minorile.
In un’epoca in cui nascono continue leggi e tutele sui minori, decreti, posizioni politiche e si discute sul senso di famiglia che ora come ora è non solo quella tradizionale ma “nuova famiglia” da quella allargata a quella di fatto ma composta soprattutto di amore, perché dove c’è amore c’è famiglia, proteggere i bambini è diventato un dovere nei confronti di un’infanzia sempre più violata e violentata.
Dove sono i bambini che hanno diritto a giocare e vivere sereni? Dove sono finite le mani adulte che dovrebbero accarezzare e proteggere e invece entrano con prepotenza nell’animo di un cucciolo indifeso? Gli adulti sono pronti a commuoversi e rivedere gli sbagli commessi ma perché poi ci ricascano ancora? Un affresco contemporaneo che è restituito da reportage di fotografi quali Robert Capa o Nick Ut, autore della foto della bambina colpita dal napalm in Vietnam, fino alla recente foto simbolo scattata dalla fotografa Nilufer Demir che immortala il piccolo siriano, Aylan, morto durante la traversata in mare per scappare dalla guerra in Siria.
Casi di cronaca in cui i bambini vengono alla ribalta nei modi più tristi e fastidiosi, si, fastidiosi, perché non si vorrebbe mai sentire parlare di un’infanzia che non può essere goduta e provoca nell’adulto il senso di impotenza e sofferenza per non aver dato a quello stesso bambino la gioia di crescere e preoccuparsi solo di quale giocattolo usare per scatenare la sua fantasia o piangere per una caduta che presto è dimenticata a favore di un pensiero rivolto ad un’altra faccenda colorata.
Troppe regole oggi per i bambini, troppe avvisaglie sul “nemico” adulto, troppe paure: una foto su un social network potrebbe finire nelle mani di un pedofilo, controllare e sapere dove vanno, e con chi sono i bambini o far uscire da solo un minorenne è impensabile in questo mondo contemporaneo che sembra sempre più contaminato e fagocitato dalle proprie angosce.
Eppure chi è adulto, oggi ricorda ancora quando gli adulti erano considerati “i grandi” e i bambini “i piccoli”: i grandi stavano a casa, al lavoro o al bar , i piccoli giocavano all’aperto e bevevano l’acqua dal rubinetto del giardino fino a che non avevano più sete, giravano in bici fino a tardi con una carta da gioco attaccata ai raggi con una molletta da bucato per far rumore, giocavano a pallone con gli altri bambini in mezzo alla strada, litigavano e poi ritornavo amici, si sbucciavano o rompevano qualcosa e poi a casa la colpa era solo loro senza giri di denuncie e avvocati, non era difficile essere bambini, era complicato diventare adulti poi, forse.
Bambini violati ci sono stati, oggi come ieri, e la performance di Marco Chiurato mette in atto un pensiero, in modo silenzioso, per ricordare all’adulto che è stato bambino, per porre l’accento al bambino che deve essere bambino, per evocare nei “grandi” che anche loro sono stati “piccoli” e forse qualcuno non è mai cresciuto perché restare bambino è bello: puoi giocare, litigare e tornare amico, correre in bici e giocare a pallone, bere dal rubinetto del giardino ed essere felice con le tue piccole cose. Perché? Perché un bambino ha fantasia mai sopita e vuole scoprire e non si ferma mai e dopo un’avventura è pronto a farne un’altra e si ricomincia: “facciamo finta che io ero…” già, io ero, io sono, anzi IO SO’ IO, sono il bambino che ha diritto di avere e dovere di essere, IO SO’ IO, lo sono in quanto bambino mai cresciuto, in quanto adulto consapevole, in quanto bambino curioso che deve crescere e affacciarsi al mondo ma non voglio la paura, la violenza, le urla, la guerra in qualsiasi forma, non voglio che mi si sporchi la faccia di lacrime e terrore per colpa tua signor adulto, amami ma non profanarmi, proteggimi ma non attaccarmi, ricordalo IO SO’ IO, ma lo sei stato anche tu, sei il tuo futuro.
Nessun adulto può inscenare l’infanzia meglio di un bambino, ecco perché la cura della mostra è stata affidata ad Anna Fumian e Mattia Spigarolo, due bambini scelti dall’artista con il consenso dei genitori. Mattia è l’autore del disegno che è il logo della performance, un bambino dalle mani grandi che si chiude gli occhi: io non vedo il mondo e il mondo non vede me, io mi proteggo.
Anna ha presentato con le parole lo spazio dietro di lei dove altri bambini hanno atteso composti seduti in banchi da scuola l’arrivo degli adulti che sono arrivati a rompere il loro equilibrio: un adulto a scuola? I grandi nella mia classe? È strano… loro sono stati bambini e non rivedono i bianchi della scuola da anni, io proietto loro nel passato ma li faccio guardare al futuro ma IO SO’ IO.
“Fermati a guardare un campo incolto, fermati e riconosci i mille fiori della nostra infanzia. Fiori di campo questo siamo. Siamo alti bassi, grassi magri, rossi bianchi neri o gialli, abbiamo fantasia da regalare persino agli artisti, non abbiamo paura, non conosciamo la paura, siamo dei combattenti nati. Abbiamo in noi una forza e una fiducia verso il prossimo che l’adulto spesso perde per strada. Cadiamo e ci rialziamo.
Non badiamo alle ginocchia incrostate, non notiamo il vestito sporco, non ci viene in mente di mangiare perché abbiamo troppo da fare. e quel da fare si chiama giocare.
E quel giocare è dare voce alla nostra fantasia. Un giorno siamo dei cavalieri temerari, un altro i clown di un circo, un altro ancora gli animali di una foresta e perché no anche delle principesse altezzose in attesa del principe azzurro.
Noi siamo noi. Siamo quello che un tempo eravate voi.
Marco invece è uno di noi, con le sue provocazioni e la sua sensibilità da voce a quanti di noi sono stati maltrattati, da voce a quell’infanzia rapita che voi avete sulla coscienza.
Guardatemi Io So Io e nessuno ha il diritto di rubare i miei sogni, il mio futuro.”

L’artista Marco Chiurato ha dato poi il benvenuto al pubblico, lo ha fatto di spalle, senza guardare gli adulti, si è rivolto invece ai bambini, bambino lui stesso, lo ha fatto perché ha introdotto gli adulti verso lo spettacolo dei innocenti in un’”isola che non c’è” dove i bambini non crescono e gli adulti non ci possono più tornare.
Ecco la rappresentazione dell’infanzia, eccoli seduti i protagonisti, fermi davanti ad un banco di scuola apparecchiato con forchetta e coltello e davanti loro è poggiata una spumiglia bianca che rappresenta un culetto, perché? Perché proprio questa particolare forma anatomica? Perché il sederino è croce e delizia per gli adulti, uno schiaffo sul didietro è inferto quando si rompono le regole o non si obbedisce, allora arriva dall’adulto verso il bambino come segno di punizione; al contrario, mordere di baci e affondare delicatamente i denti quando il bambino è piccolo in segno d’affetto all’adulto piace perché forse ricorda qualcosa di puro e incontaminato, ricorda che non esiste ancora il senso della vergogna e del pudore. E ora? Ora quel culetto è sui banchi di scuola e i bambini offrono la loro innocenza al pubblico, lo torturano con coltello e forchetta, lo mangiano, lo offrono in pasto alla platea in una sorta di dolce comunione da condividere fra tutti, senza vergogna, senza paura, senza violenza.
Gli adulti si riconosco, accettano o rifiutano questo gesto, questa infanzia passata e presente, alcuni si commuovono, altri scappano, molti osservano e guardano, non sarà che “loro” seduti sono in realtà “io” che mi rivedo e guardo? Se il bambino sul banco di scuola mi dice che IO SO’ IO allora IO chi sono?
I bambini sono tutti diversi in questa esibizione, ognuno pensa e agisce come meglio crede, timidi e silenziosi all’inizio con una musica di sottofondo composta da Francesco de Biasi e Mirka Valente che sembra stridere tra urla e pianti perché l’apparenza non è la realtà.
Ogni bambino poi agisce davanti al pasto e invita i visitatori: qualcuno composto usa le posate, altri aggrediscono con le mani questo simulacro del corpo creato, altri mettono il dito in bocca e poi lo intingono e spaccano la forma, altri ne fanno mille pezzettini.
Sono tutti differenti i bambini in queste azioni, da adulti si tende poi ad essere tutti uguali ed omologati, come nelle opere fredde e ieratiche, specchio di questa epoca, di Vanessa Beecroft dove tutte le persone sono immobili ed uguali, catalogate tra gli spazi in cui convivono: bisogna avere la casa, un lavoro, una reputazione, essere di moda come ci ricorda un testo rap contemporaneo
“Non ci fermiamo alle precedenze
Ma ci fermiamo alle apparenze
Abbiamo più punti interrogativi che punti di riferimento
Guardiamo tutti le stesse cose
Indossiamo gli stessi vestiti
Mettiamo le stesse scarpe
Siamo specchi che non riflettono
Prigionieri del presente in un paese senza futuro
O reagiamo o ci troviamo a cucire l’orlo del baratro
E a quel punto i rimorsi faranno più male dei morsi”

(Generazione Boh – Fedez)
…e in mezzo a tutto ciò? Il silenzio assordante degli adulti.
I bambini sono bambini e dopo un poco giocano, sono stanchi di stare zitti e seduti, vogliono muoversi, agire e scatenarsi e provocano così le paure degli adulti e si ribellano, creano un macello all’interno della stanza, “spaccano il culo agli adulti”, lo fanno letteralmente usando le mani, le posate e dilaniano il simulacro di zucchero che hanno davanti, lo gettano via, lo disseminano lungo la stanza, ridono, giocano, calpestano e urlano coprendo la musica di fondo perché le loro risate chiudono la violenza e l’abuso minorile e come monito ricordano agli adulti che IO SO’ IO e LORO SO’ LORO ma insieme, SIAMO.
IO SO’ IO – i curatori Anna Fumian e Marria Spigarolo con l’artista Marco Chiurato
scritto da Massimiliano Sabbion

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