HEIL VATER!
Es ist besser ein totes Kind als einen Künstler.
meglio un figlio morto che artista
Messe al muro:
I profili stiliformi inerpicati lungo i muri, respiro fermo in gola.
Setole fragili strappate all’identità, di cui resta un numero e una divisa a strisce.
di Sofia Cavalli
I pennelli, strumento di una forma espressiva che nasce dall’anima, vengono presi a simbolo dei deportati nei campi di concentramento. Pennelli come persone che sono state private dell’anima e la cui morte è solo un epilogo di una vita già finita nel profondo. Tante persone al muro, disumanizzate, diventate solo numeri, sono pronte ad essere giustiziate. Una giustizia sadica, innaturale, immorale e folle. Pennelli che cadono a terra, colpiti a morte, la distruzione del prigioniero ridotto ad una sottile sagoma. Persone che forse, adesso, posso recuperare la pace di una vita oltre la morte avendo vissuto l’Inferno in terra. Il comandante Franz Ziereis accoglieva i nuovi arrivati sulla porta con questo agghiacciante discorso:”Siete venuti qui per morire. Qui non esiste l’uscita ma solo l’entrata; l’unica uscita è dal camino del forno crematorio”. Pennelli privati delle setole. Persone private dei loro capelli. Di loro rimane solo un groviglio anonimo sul terreno.
di Veronica Angnoletti
A quale padre volete obbedire, figli?
Il pennello è simbolo fallico, di quel maschile che tutti abbiamo, in parte, e che passa attraverso la figura paterna. L’autorevolezza che costruisce certezze (fortezza) inespugnabili.
Le sue setole, invece, hanno del femminile: anche questa energia della psiche presente in ugual misura ma segno opposto. Strumento di creazione e d’introspezione, che porta alla luce i sentori nascosti, viscerali, onirici, i quali il maschile controlla, organizza, subordina, disciplina.
Cos’è l’arte se non la liberazione del femminile, del potenziale inferiore, lo scenario che tutto sostiene?
Urano, il padre, costringe Gea, la madre a reprimere la prole nel suo ventre: questo narra la mitologia greca, che prima ancor di Freud aveva ben chiare certune dinamiche.
Ma invero, su questa rappresentazione simbolica, su questi pennelli che si ergono evirati, su questi padri che padroneggiano il destino dei figli, una domanda si solleva luminosa e potente:
qual’è il vero padre a cui tutti apparteniamo?
di Sofia Cavalli