“WE THE PEOPLE” 4 Maggio – 2 Giugno 2021 Sala della Gran Guardia, Padova
Nell’ultimo anno la Pandemia ha, tra le altre cose, trasformato le nostre abitudini e in parte nascosto il nostro volto, scrigno della nostra identità, del nostro essere.
Il volto nella storia dell’arte è stato raccontato e analizzato in ogni sua forma o Espressione. A seconda delle epoche storiche lo abbiamo visto rappresentato in modo realistico, idealizzato, stilizzato, deformato, visionario, frammentato, scomposto e ricomposto.
Proporzioni armoniche nei volti antichi, studio di emozioni ed espressioni che si susseguono nei secoli dai ritratti celebrativi dell’età romana fino al Rinascimento: volti ricercati, analizzati nel tempo e nelle espressioni più varie.
Dal busto di Nefertiti ai visi rigati di lacrime di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, dalle passioni ritratte in Caravaggio, all’estasi di Santa Teresa del Bernini, ai volti Impressionisti e ai visi Espressionisti, alle disgregazioni e ricomposizioni del XX secolo, dalle Avanguardie artistiche agli scatti fermati nelle foto e nei video fino ai moderni selfie, alla modifica di un viso nel tempo e nella accezione, tutta contemporanea, di poter plasmare, cambiare e creare un nuovo aspetto, una nuova bellezza, un volto che rimanga nell’identificazione di un processo di riconoscimento del sé come naturale approccio verso l’Io e verso gli altri.
WE THE PEOPLE, noi la gente, è l’insieme di volti, di emozioni ed espressioni senza distinzioni di razza, colore e sesso.
Per questo i curatori hanno pensato di invitare trenta artisti per dialogare insieme di volti attraverso la creazione di opere site specific, tra scultura, pittura, video-art e fotografia, o prestando dei lavori che sono affini al tema trattato.
“Il volto, un ritratto, empatico o imperscrutabile, una raffigurazione dell’animo o la ferocia del realismo, l’ego come centro del mondo o l’uomo come rappresentazione di un gruppo o di un «popolo», tutto questo ora è possibile riaverlo attraverso l’ingegno degli artisti. L’arte, attraverso la rappresentazione di un volto, ci regala tutta la forza di quel racconto visivo, fatto di sguardi, ammiccamenti, sorrisi, smorfie di dolore o di ribrezzo e che sono propri della fisiognomica”.
Così descrive il fascino del volto uno dei cinque curatori Enrica Feltracco, che continua raccontando la genesi della mostra e del suo nome: “ questo titolo non è stato scelto a caso, immagino possa suggerire a molti l’esordio della costituzione americana, ma in realtà è un inno a quel miscuglio d’individualità e collettività su cui si reggono le società e le culture contemporanee. La libertà che ci regala questa mostra è tutta nelle mani degli artisti e della loro creatività, dove attraverso le più personali interpretazioni del volto sarà possibile cogliere la nostra contemporaneità”.
Elisabetta Maria Vanzelli ricorda un altro importante aspetto: “come questa pandemia abbia colpito, globalmente, la cosiddetta “civiltà dell’immagine”, un mondo virtuale invaso da ‘autoscatti’ perpetui, il cui senso è evidentemente quello di convalidare, in ogni sua azione, la presenza dell’essere umano.
La condivisione reale di un’espressione, di uno sguardo o di un sorriso trasmette chiaramente molto più di quanto un selfie possa esprimere e se è vero che, com’è stato lungamente dimostrato dall’arte del secondo Novecento, il corpo, e con esso il volto – suo acme – ampliano l’orizzonte delle pratiche artistiche a una gestualità e a una corporeità diversamente impercorribili, resta da capire come poter riscrivere – nell’oggi più immediato – le storie che abitano il nostro corpo e che, nel caso specifico di questa mostra, accompagnano la semantica del nostro volto”.
Massimiliano Sabbion approfondisce il volto nella storia dell’arte: “Numerosi i ritratti e gli autoritratti compiuti in ogni epoca, l’immagine riprodotta diventa la mimesi della realtà che restituisce pregi e difetti di chi è ritratto.
Con tratti e colori, su tela, scultura, fotografia e video gli artisti fissano un segno e una presenza tangibile per l’identificazione e una memoria di sé: dai ritratti nell’arte classica costruiti attraverso canoni e regole, alla presenza ieratica e astratta idealizzata nel sacro, fino alla presa di coscienza di emozioni umane nei volti dipinti, ad esempio, da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova dove egli stesso si autoritrae poi nel Giudizio Universale”.
Elisabetta Bacchin si focalizza sul Novecento “che ha rappresentato una svolta cruciale nella storia dell’uomo e dell’arte. La dottrina psicanalitica di Sigmund Freud ha condotto alla disgregazione della percezione unitaria dell’io, ridefinendo completamente la concezione della psiche. Poco prima, Albert Einstein aveva fatto l’eccezionale scoperta della relatività del tempo e dello spazio. Due Guerre Mondiali si sono susseguite a pochi anni di distanza l’una dall’altra, lacerando il tessuto sociale e lasciando nelle persone ferite inguaribili. In questo contesto, l’arte ha messo in discussione tutti i canoni rappresentativi tradizionali e, con essi, anche la concezione della raffigurazione del volto è mutata completamente.
Da quel momento in poi, si sono aperte infinite strade per l’esplorazione dell’interiorità umana da parte degli artisti, la cui nuova libertà espressiva ha portato alle più svariate interpretazioni, affiancandosi a tutta una serie di sperimentazioni di nuovi mezzi espressivi, dall’uso di materiali industriali e sintetici alla performance, dalla fotografia alla video arte”.
Matteo Vanzan prosegue approfondendo il concetto della mostra: “non è solamente un’esposizione di opere che raccontano la vicenda del volto contemporaneo letto attraverso la pittura, la scultura, la fotografia e la video art, ma è primariamente una mostra che parla di persone.
Il ritratto ci permette quindi di entrare in contatto con ciascuno di loro, di comprenderne i momenti più intimi e personali e ricongiungerci al loro atto creativo. Volti acrilici, marmorei, fotografici o digitali altro non sono se non finzione inserita in una tradizione di cui si perdono le origini; metafore che ci aiutano a fissare nella mente istanze primordiali e impulsi archetipi. Opere ed artisti sono ora indissolubili; ricamano la consapevolezza di un’identità mascherata da istanza di presenza in cui si palesano cancellazioni, deformazioni, presenze, privazioni, plasticità, compattezza.

WE THE OBJECTS
OGGETTO 1 250000 CM CUBI
OGGETTO 2 720 METRI QUADRATI

l’oggetto 1 all’interno di una teca in plexiglas, apre la porta ma non esce e rimane in mobile
l’oggetto 2 è all’interno di una stanza e sembra più libero dell’oggetto 1
l’oggetto 1 è in mobile perché il padre glie l’ha ordinato
l’oggetto 2 porta sopra la testa il cappello da pizzaiolo dell’oggetto 1
l’oggetto 1 e 2 sono sopra lo stesso oggetto, l’oggetto 3
l’oggetto 3 delimita il loro spazio di posizionamento
l’oggetto 1 è vestito con un pigiama azzurro, colore preferito da Pablo
l’oggetto 2 è in ceramica decorato a rilievo con acrilico bianco

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